Intervista a Niccolò Fabi (20 feb. 2010, La Cantinaccia)

Da questo blog riprende il via il progetto “Degni di Nota”, ne ripercorro la storia pubblicando le prime interviste ottenute, questa come prima, cogliendo l’occasione per salutare Niccolò Fabi e ringraziarlo per la sua cortesia.

IO – Figlio d’arte, in quanto tuo padre è stato produttore di diversi gruppi musicali e notissimi cantanti tra cui PFM, Battisti, e possiamo fermarci qua per specificarne il calibro, questo per chiederti come prima domanda: in che ambiente musicale sei cresciuto?

NICCOLO’ – Il fatto di avere un padre che faceva musica è evidente che è un’opportunità in più per ascoltare tante cose che bambini di 6-7 anni è difficile che ascoltino. Ma non solo la musica intesa come dischi che suonavano dentro casa, anzi… Anche musicisti da andare a sentire in studio o ai concerti, quindi la possibilità di familiarizzare con il mondo musicale da tutte le sue angolazioni. L’opportunità di stare accanto ad un mixer di palco durante un’esecuzione ti da una cognizione di cos’è un concerto completamente diversa da quando lo vedi da fuori, come anche da quando sei tu a suonare del resto, così come entrare in uno studio di registrazione e stare lì seduto su un divano ad ascoltare discorsi e racconti sulla musica, tutto ciò cambia non poco i punti di vista. Tra l’altro negli anni settanta ancora c’era una libertà musicale enorme, non c’erano problematiche di radiofonia, il grande business non si era ancora impadronito della musica e la lasciava fare, c’era una temperie culturale molto diversa, libertà e impegno sociale erano caratteristici di tutto il periodo storico, in più come forma d’arte è evidente che oltre trent’anni fa era stato scritto molto meno, quindi non c’erano così tante possibilità di ripetitività come oggi.

IO – Per quanto riguarda la musica intesa come melodie e motivi è ovvio che la questione della ripetitività sia ormai pressante, ma tu hai sempre avuto un’attenzione particolare per i testi che ti allontana un po’ da quel problema, no?

NICCOLO’ – Quest’attenzione ai testi è nata comunque molto dopo per me, almeno verso i 25 anni, visto che i miei esordi sono stati come musicista, addirittura ho cominciato con la batteria, solo dopo un percorso musicale abbastanza lungo mi sono ritrovato a riporre attenzione nelle parole, quindi mi sono introdotto nella dimensione di autore, perché tra l’altro i primi pezzi che scrivevo erano per le band con cui suonavo e quindi venivano cantati da altri, poi i temi personali che trattavo mi hanno portato all’esigenza fisiologica di esserne io l’interprete, quindi mi sono scoperto anche come cantante e quello è stato l’ultimo passo, ma è stata una conseguenza naturale.

IO – Sei maturato nel panorama romano degli anni 90, dove io, poco più che ragazzino, ho avuto l’impressione che stesse nascendo un movimento musicale similare a quello di trent’anni più anziano del Folk Studio. Tu, Gazzè, Silvestri, Conidi, vedervi collaborare, contaminarvi… Era sbagliata la mia impressione?

NICCOLO’ – Beh, diciamo che ciò che è accaduto intorno a quel posto che si chiamava Il Locale (locale live di Roma, dietro piazza Navona – nda) è stato per certi versi equivalente a ciò che aveva scaturito poi l’esigenza del Folk Studio. Noi però eravamo tutti musicisti da band più che cantautori che leggevano testi su note di chitarra, il Folk Studio era per cantautori nel senso stretto del termine, invece al Locale si suonava con band, poi come tutte le esperienze di quel tipo ha avuto una durata limitata. Del resto il Locale come genesi era nato da un gruppo di musicisti e attori che avevano bisogno di uno spazio per provare, poi queste prove sono state aperte, quindi aveva avuto una nascita in nessun modo legata al profitto, il Locale ha potuto creare arte perché non aveva un carattere commerciale e ciò lasciava completa libertà, svincolandosi dalle regole del commercio.

IO – Mi dici commercio e mi viene in mente Sanremo (intervista rilasciata il giorno della finale 2010), o i talent che oggi imperversano, qual è il tuo punto di vista…

NICCOLO’ – Diciamo che le tue citazioni sono di programmi televisivi, quindi non sono strettamente correlati al panorama musicale…

IO – Obiezione accolta, riformulo la domanda. La musica di oggi si è spostata verso l’immagine e lo spettacolo perché con le note e le parole è già stato detto tutto o per una commistione troppo influente della televisione secondo te? Hai l’impressione che vada avanti il bello?

NICCOLO’ – E’ ovvio che la forma Canzone sia giunta al suo ultimo stadio, ma non è apocalissi, è semplicemente storia della musica, tutte le forme musicali hanno avuto un inizio e una fine e così è anche perla Canzone, è da moltissimo tempo che stiamo rimestolando, ma non è un fatto grave in assoluto, ci sarà una nuova forma musicale che ovviamente nessuno di noi sa prevedere, stiamo aspettando il nuovo strumento per capire che tipo di espressività avrà la musica, o confluirà tutto magari in un’arte multisensoriale che andrà a usare la musica come parte della comunicazione e non come forma unica… Sul fatto dei talent, l’immagine è sempre contata nella musica, da Hendrix a Morrison nessuno sarebbe diventato mito se fosse stato solo un buon musicista o un buon cantante. L’essere mito nei confronti delle generazioni ha a che fare con tutto quello che evochi e quello che evochi è anche dovuto ad una fisicità, intesa non come perfezione dei lineamenti, ma come trasmissione energetica, è evidente che in un momento nel quale la televisione ha preso il sopravvento gli aspetti legati all’immagine hanno avuto ancor più rilevanza. Ma non necessariamente intendendo la bellezza estetica, ripeto, anche le ragazzine si innamorano della comunicativa principalmente, non del nasino o degli occhi…

Sul fatto dei talent sono sempre più scettico, inizialmente all’insegna del “meglio quello che niente” ne vedevo alcuni lati positivi, in realtà ora ci leggo una grossa magagna educativa, proprio nella loro genesi, nel concetto di scuola aperta, la scuola in tv crea già spettacolo e questo è un ossimoro, il fatto che l’apprendimento diventi show non la rende scuola, il ragazzo cercherà già dei consensi, invece la scuola andrebbe frequentata nell’oscurità, intimamente. I ragazzi vanno al televoto e vengono votati per come sanno gestira una platea, quindi nascono come personaggi ai quali si appiccica dopo l’etichetta di artista e si accomunano a un progetto che in alcuni casi, vedi Noemi (X-factor 2009 – nda), ha un senso, ma per la maggior parte non hanno una coerenza. Immagina un talent sull’arte contemporanea, qualsiasi bravo madonnaro che rifà benissimo Caravaggio avrebbe la meglio al televoto su Kandinski o Picasso, perché quelli non avevano uno stile così popolare, non così evidentemente da perizia diciamo, ma l’arte non è quello.

IO – Mi hai regalato una bella riflessione, perché io ancora gravitavo sulla questione del “meglio quello che niente”. Alla luce di ciò ti pongo un’ultima domanda che riguarda il mondo strettamente discografico sulla quale potrai essere altrettanto illuminante rispetto al mio pensiero: che futuro vedi per la musica, la fruizione gratuita sembra l’unica via rimasta per la diffusione, c’è una pecca nel sistema? Prima che tu risponda ti do il mio profano punto di vista: meglio essere scaricati ma ascoltati che poco acquistati e quindi preclusi dal comunicare.

NICCOLO’ – In effetti anche qui come puoi immaginare ho fatto dei passi in più, ma proprio perché la mia vita è intrisa da quando sono nato di questi ragionamenti. La tua considerazione è indubbiamente giusta, ci si può accontentare di essere seguiti ai concerti e ascoltati, anzi non ci sarebbe assolutamente nulla di male, e questo da noi musicisti è stato accettato da tempo, del resto la musica è stata per nove decimi della sua storia non riproducibile in supporti. Ma il concetto cambia se tu pensi che viviamo comunque in un mercato, in un sistema estremamente capitalistico, ed è difficile riuscire a estrapolare il contenuto musica dalla scatola che ti viene offerta. Mi spiego con un esempio: tu paghi profumatamente la tua connessione ad internet che è la scatola della quale parlavo prima, che però è riempita da contenuti di altre persone che non vengono pagati. Questa è la pecca del sistema. C’è una grossa differenza tra la copia personale ed il cd acquistato a cinque euro per la strada, se a te piace il mio disco e lo vuoi masterizzare per farlo ascoltare ad un’altra persona ben venga, ma i cinque euro che tu paghi per la strada sono sottratti a me e non vanno all’extracomunitario che ha venduto la copia masterizzata, ma finiscono in un giro d’affari che spesso fa arrivare la droga fuori le scuole, e a questo punto permetti che non sia d’accordo?

IO – Indubbiamente dal punto di vista commerciale la tua riflessione non fa una piega. Quindi la formula più giusta sarebbe il baratto anziché la condivisione secondo te, ossia condividiamo a patto che io non paghi neanche la scatola, altrimenti l’artista è l’unico a rimetterci…

NICCOLO’ – Esatto. Il concetto di condivisione è giusto se applicato a tutto il mercato. Io ho comprensione per chi scarica, ma non per gli amministratori delle società telefoniche che lo permettono, non credo loro abbiano bisogno dei miei soldi…

IO – Sei stato chiaro ed esaudiente, ti ringrazio per la chiacchierata ed in bocca al lupo per il concerto!

NICCOLO’- Grazie a te!

Foto di Valentina Gentile http://www.flickr.com/photos/ilterzoocchio


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